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un'intensa opera di organizzazione e di propaganda tra gli
emigrati italiani, assumendo la guida del Partito socialista
italiano in Svizzera. Nel 1902 si trasferì però negli Stati Uniti
come direttore del periodico «Il Proletario», per tornare nel
1904 in Svizzera, dove rimase fino al 1911.

   In quegli anni la sua opera fu segnata da aspri contrasti
politici: con gli anarchici, fautori di idee insurrezionaliste, in
nome della necessità di un'azione «legalitaria»; con i
sindacalisti rivoluzionari, fautori di uno sciopero generale
inteso come strumento per abbattere il sistema, in nome del
ruolo del partito e della sua distinzione dal sindacato; con i
riformisti, che da posizioni intransigenti Serrati accusava di
opportunismo.

   Nella sua visione era centrale il ruolo del partito che, disse
nel 1911, «non deve considerarsi come qualcosa di diverso
dalla massa operaia, che viva al di fuori e al di sopra della
stessa». Per lui il partito era e doveva essere diretta
espressione delle masse operaie e per questo insisté sempre
sulla necessità di una rigida disciplina. Del partito, al tempo
stesso, Serrati difendeva e avrebbe continuato a difendere
come un valore l'unità, al di là delle differenze di
orientamento. Tutto ciò spiega anche la sua ombrosa
diffidenza verso gli intellettuali borghesi (riformisti o
sindacalisti che fossero), che non vivevano la vita delle masse
operaie.

   Ma l'aspetto senza dubbio centrale del suo lavoro di quegli
anni è costituito da un'opera quotidiana e costante per
l'educazione (non solo politica) degli emigranti italiani e per
la loro organizzazione sindacale e politica. Tanto più
importante, quell'opera, in quanto allora gli emigranti
italiani erano spesso violentemente osteggiati dagli stessi

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