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mento di lucidità Totò aveva detto alla moglie: “Parèj adieu Siviglia bòia
fàuss. Cantoma?”. E si mise a cantare: “Quando ti stringi a me…”.

       Archiloco non ce la fece a rientrare. Era in giro per lavoro.
       Il Duca ricordò Totò con poche parole: “Magari avessimo potuto
fermare il tempo, caro Totò, nella tua bottega, con la nostra giovinezza.
Volevamo andare senza sapere dove, senza sapere che eravamo già arri-
vati. Tu ce lo dicevi, magari ti avessimo dato retta. Cerea Totò!”.
       Zuccherino singhiozzava sorretta dal marito e dalla Gina che le ri-
peteva: “Totò ti voleva bene, ti adorava… bela parèj ëd n’àngel. Diceva
sempre al Duca e ad Archiloco che non c’erano al mondo altre ragazze
come voi…”.
       Zuccherino vedeva Totò che l’invitava a ballare, lo sentiva cantare:
“Quando ti stringi a me…”. Ripeteva sempre: “ Am pias la companìa dj’ amis”.
       Gianna rimuginava sul cantico del suo rovescio ed osservava il ma-
rito che non aveva mai conosciuto Totò. Avrebbe dovuto spiegargli del
suo rovescio e del perché gli uomini non guardavano la pallina quando
lei giocava a tennis.
       Archiloco, in una capitale del nord Europa, stava scrivendo un ar-
ticolo per il suo giornale. Non mancavano un rigore negato e un’espul-
sione dubbia. Tutto secondo copione.

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