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«Che cosa vuoi dire?».
«Che ognuno, nel proprio buco anche se
allagato, deve fare quello che ritiene giusto e dare
una mano a chi, privo di strumenti critico-cul-
turali, non ce la fa».
«Ma cosa state confabulando voi due? Qui
viene notte», urlò il Cipolla dal mezzo del campo.
La partita cominciò sotto cattivi auspici.
L’arbitro, ex giocatore di pallacanestro, non cono-
sceva bene le regole del calcio e prendeva con-
tinue cantonate, scatenando liti e discussioni.
Da un lato del campo, c’era il mare e, in quasi
tutti i rinvii, la palla andava a finire in acqua. Le
operazioni di recupero erano lunghe e mac-
chinose. Come se non bastasse, la partita, iniziata
nello scherzo, con il passare del tempo si tra-
sformò in battaglia con urla, spintoni, gomitate.
Il Cipolla, ad ogni parata che effettuava, faceva
il gesto dell’ombrello agli avversari, scatenando
reazioni polemiche altrettanto volgari.
In tribuna c’erano anche alcuni clienti dal bar
Trocadero che facevano il tifo. Dominavano i
giovani sostenitori degli scapoli che, abituali fre-
quentatori dello stadio della vicina città, into-
navano coretti: «Sei figgi de bagasce, avansi de
casin, se nu ve piaxe a mussa susseve stu
belin…».
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