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metteva sempre i piedi sulla scrivania d’epoca, gli scolava i liquo-
ri, e non dava da bere al ficus.
Il povero dottor Ascensore non aveva calcolato i rischi che cor-
reva esponendosi, per lunghe ore e nel chiuso di un ascensore, al
profumo (poison puant) di cui faceva abbondante uso l’ex assesso-
re Alicuius. Per di più in quei giorni anche una consigliera, che
faceva uso di lavanda “Carnale”, aveva bazzicato negli ascensori.
L’odore della miscela dei due profumi si sentiva sino nella vicina
piazza Dante, dove un cavallo si era imbizzarrito e c’erano stati
degli svenimenti. Le conseguenze furono così, per il povero dottor
Ascensore, disastrose.
A questo punto l’Assessore alle finanze, che aveva portato la let-
tera del Rino all’attenzione dell’esecutivo e non voleva ammettere
di non capirci niente, tagliò corto: “E’ tutto chiaro! Per i compo-
nenti dell’esecutivo propongo, per dare l’esempio, una trattenuta
del 15%!”.
Il Presidente, cattolicissimo ma anche avarissimo, dovette subire
la decisione della maggioranza e a malincuore votò a favore della
delibera. Ma non dimenticò e incontrato il Rino, in un ascensore,
lo apostrofò: “Ecco la causa del mali dell’Ente! Un funzionario ben
pagato che sa fare solo delle lettere su materie che non gli compe-
tono! Rovina delle Istituzioni e dell’ordine democratico!”.
Il Rino impallidì e cominciò dentro di sé un esame di coscienza:
“L’Esecutivo aveva accettato i contenuti della sua lettera e allora
dove aveva mancato?”.
Pensò bene di consigliarsi con il dottor Flatus che sentenziò:
“Hai fatto una lettera sbagliata... dovevi semplicemente proporr e
un ordine del giorno sulla pace senza trattenute onerose.
L’ E s e c u t ivo avrebbe fatto belle figura e soprattutto risparmiato di
tasca propria”.
Quel Flatus era un uomo geniale, avvezzo a tutte le sottigliezze
e le astuzie. Rino abbracciò il suo maestro che, come in estasi, sus-
surrava: Bisanzio... Bisanzio... non Atene, non Roma... Bisanzio è
la mia patria!”.
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