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Il 18 dicembre 1942, essendo i russi riusciti a sfondare il fronte, i carabinieri
intensificarono i turni di vigilanza della durata sino a 5 ore, sottoponendosi così a
turni logoranti, resi ancor più gravosi dalla temperatura scesa a 30°.
Il giorno 19 dicembre i servizi vennero disimpegnati a tutti i militari con un turno
continuato di 12 ore sotto un’intensa nevicata e dopo aver trascorso la notte
all’addiaccio in quanto Makorow era in allarme. Allorché giunse l’ordine della ritirata,
la strada del ripiegamento era completamente ingolfata da centinaia di autocarri delle
altre Divisioni che si erano venuti a riparare dietro la Divisione “Torino”, unica G.U.
che ancora resisteva all’urto nemico. Pertanto, spettò alla 66° sezione motorizzata
Carabinieri con l’impiego di tutto il personale, di sbloccare la rotabile che da Makarov
conduceva per Mikailov a Nazarov. Infatti, dopo inauditi sforzi nel corso dei quali i
carabinieri dovettero vincere anche la riottosità dei tedeschi che non volevano
eseguire gli ordini, il giorno 20 successivo la rotabile fu sbloccata e così alle ore 11 la
Divisione poté iniziare la marcia di ripiegamento.
Il 22 mattina la situazione si presentò disperata: una divisione russa aveva
accerchiato i reparti della divisione e la sua fanteria era a circa 100 metri e
minacciava di infiltrarsi in molti punti dello schieramento delle truppe italiane.
Anche la divisione Torino con la 66a divisione Carabinieri motorizzata deve ripiegare.
La colonna attaccata da tergo, stremata e dopo una marcia di oltre cinquanta
chilometri giunge ad Arbusowca, per sostarvi la notte.
Disponeva in tutto di tre pezzi da 75/27 e di quattro autocarri. L’armamento e i mezzi
erano andati perduti per la mancanza di carburante e per le difficoltà della marcia
sulla neve e sul ghiaccio, a una temperatura di circa meno 38 gradi.
Nella giornata del 22 dicembre 1942, le unità sovietiche avevano occupato le alture
circostanti e accerchiato la conca di Arbusowca. Venivano condotti contrassalti per
smorzare l’aggressività dei russi. Molti furono tra gli attaccanti italiani i morti e i feriti
nel tentativo di uscire dalla sacca.
I feriti ed i congelati, circa duemila, ancora in grado di marciare, seguivano la
colonna, priva di viveri e di medicinali. Altri erano trasportati su slitte o sul solo carro.
Gli intrasportabili, venivano lasciati sul posto, affidati al senso di umana solidarietà
dei russi.
La temperatura era scesa a meno 40°. Molti italiani restavano indietro alcuni davano
segni di alienazione mentale provocata dalla fatica, dal freddo e dal biancore
ossessionante del paesaggio e dal digiuno.