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tra i più significativi di uno di quei comportamenti la cui
validità e il cui carattere esemplare vanno oltre il suo tempo e
non perdono mai la loro attualità.

   La lotta contro la guerra e contro la violenza è senz'altro
parte di tali comportamenti, ed è fra i più importanti, specie
quando per sostenerla si rischia di pagare pesanti
conseguenze. Ecco perché a mio parere l'esempio di Serrati
non ha perso nulla del suo valore.

   Certo, qualcuno potrebbe obiettare che la rivoluzione a cui
egli non cessò mai di guardare è anch'essa quasi sempre
violenta. Per Serrati come per molti altri suoi compagni
dell'epoca (i così detti massimalisti perché ponevano in
primo piano in programma massimo del partito), tuttavia,
quello sbocco restava in gran parte remoto. Non a caso
l'accelerazione prodotta dalla guerra e dalla rivoluzione russa
li trovò in larga misura impreparati ad affrontare i tempi
nuovi del dopoguerra. Il fatto è che a lui come a molti altri
suoi compagni di lotta, benché si proclamassero
rivoluzionari, la violenza era sostanzialmente estranea.

   A riprova di quanto dico, lasciatemi concludere con una
testimonianza di quella giornata del 17 dicembre 1972 da cui
abbiamo preso le mosse. Serrati, come ho accennato, fu
sempre alieno da ogni dichiarazione altisonante, ma non
altrettanto si può dire di molti suoi compagni massimalisti, a
lungo e non a torto criticati per il loro rivoluzionarismo e per
le loro incitazioni alla violenza di classe.

   Ebbene, forse anche per costoro si trattava soltanto di
parole al vento. Al pranzo che seguì la manifestazione per il
centenario della nascita di Serrati, per caso capitai a sedere
vicino a Terracini e vi prego di credere che la cosa non mancò
di farmi molta impressione. Accanto a me, in carne ed ossa,

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