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“Pallina, divina, suono di violinina, voglio abbracciar la tua vitina,
accarezzar la tua manina… piccina… piccina…”. Il Duca era un maestro
nell’imitare quel maturo spasimante della zia con la mania di assurde rime.
Era una donna colta, appassionata di letteratura, di cinema e di
opera lirica. Passioni che aveva trasmesso al nipote; un’anima sognante
portata alle fantasticherie. Con il Duca era stata un’impresa impossibile
perché guardava alla concretezza e più che fantasticare gli piaceva dissa-
crare tutto ciò che vedeva come una forma di potere: la scuola, con i suoi
professori e presidi, il collegio-convitto con le sue gerarchie e regole, i ge-
nitori ricchi ed altezzosi dei loro compagni di studi, quel sarto così al cen-
tro del bel mondo. Dopo le medie, erano entrati entrambi in un colle-
gio, retto da religiosi, per frequentare il ginnasio e poi il liceo. Fu allora
che si scatenò ancora di più la fantasia dissacratoria del Duca nei con-
fronti dei professori e dei religiosi che mandavano avanti il collegio. Si
esibiva in imitazioni esilaranti che andavano dal rettore al padre mini-
stro passando per quasi tutti gli insegnanti.
Era stato il padre del Duca a decidere che per il figlio ci voleva il col-
legio con le sue regole per mitigarne l’esuberanza volta a tutto meno che
a studiare. Archiloco aveva seguito l’amico come gli capitava quasi sempre.
Insieme si erano fatti cinque anni di collegio, tutto sommato, positivi. Anni
di studi un po’ sofferti soprattutto per il Duca che era sempre rimandato
di greco e di latino. Dopo l’esame di maturità, in cui miracolosamente an-
che il Duca era stato promosso, avevano festeggiato l’addio alle ore di stu-
dio con il prefetto che vigilava, alle messe ed alle preghiere, agli orari che
non lasciavamo scampo e scandivano la loro vita da convittori, alle puni-
zioni che consistevano in ore aggiuntive di studio. L’anno scolastico era
lungo ma c’era l’attesa della mitica estate, della spiaggia, delle compagnie
estive e delle ragazze. Ora, avevano davanti l’Università che per loro voleva
dire, prima di tutto, libertà per tutto l’anno.
Quel giorno, veleggiavano par raggiungere un isolotto, meta di
tante gite della loro giovinezza, dove avrebbero pranzato “al sacco”. Ave-
vano oltrepassato di un po’ la sessantina e, per prudenza, si erano infi-
lati i salvagente che li impacciavano nei movimenti ma, data l’età, se fi-
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