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della figa che non era molto praticabile in una stagione di acciacchi e ma-
lanni vari dovuti all’età.
“Ma, a parte il mondo che non se la passa tanto bene, la figa cui
diamo del lei e il Genoa in serie C, come ti senti?”, gli fece.
“Come vuoi che mi senta… mi accontento… prima avevo il ca-
tetere ed era un gran fastidio, oltre all’umiliazione delle infermiere che
me lo venivano a infilare senza risparmiarmi battute… adesso mi hanno
messo il pannolone e mi sento un re. Te lo saresti immaginato che mi sen-
tissi un re con il pannolone?”.
“Certo che no, ma vedrai che lo toglieranno presto e riprenderemo
a bordeggiare in barca a vela. Chissà… magari riusciremo anche a fare
quel famoso viaggio a Siviglia, anzi a Sevilla. Il viaggio che abbiamo ri-
mandato per tutta la vita…”. Archiloco era pensoso.
“Sevilla? Ormai… mi devo accontentare che mi tolgano il pan-
nolone altro che viaggio. Se Sevilla non verrà qua… non la vedremo più
insieme, come abbiamo sempre fantasticato. Magari, un giorno, la Gi-
ralda apparirà all’orizzonte, come la Corsica, e, piano, piano, Sevilla at-
traccherà, con la sua magia, nel porto vecchio. Te lo immagini: la Plaza
de Toros de la Maestranza, la Torre del Oro e il Paseo de Colon si fonde-
ranno con Porta Siberia, San Lorenzo, il Palazzo Ducale. Che spettacolo!
Non ci dovremo più muovere: avremo tutto qui! È questa la città che ab-
biamo sempre cercato e non abbiamo mai trovato. Per forza! Bisognava
fonderne due in una e non ci abbiamo mai pensato! Che allocchi!
Quando eravamo a Torino forse era troppo sperare che Sevilla risalisse
il Po ma qua è diverso. Genova fa incantesimi”.
Il Duca ormai era lanciato e Archiloco lo stava ad ascoltare come
quando erano ragazzi e lui fantasticava sul mondo o sul Genoa che, ma-
gari, stava lottando per non retrocedere.
“Sai che ti dico, amico mio?”.
“Dica Duca”, Archiloco sorrideva.
“Non ci resta che restarcene acquattati in qualche angolo della no-
stra Genova, così bella, così introversa…. così magica… esperando Sevilla.
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