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CAPITOLO QUARTO

       Era notte fonda. Archiloco passeggiava lungo una via di Milano.
Era reduce da una trasmissione sportiva televisiva che andava per la mag-
giore. Dei colleghi gli avevano dato un passaggio in auto e l’avevano sca-
ricato in centro. Erano passati più di vent’anni dai tempi di Torino e lui
era diventato famoso, almeno in quel mondo di plastica. Anche quella
sera, c’erano state urla, polemiche, sceneggiate varie. Cose da voltasto-
maco ma che facevano ormai parte del suo vissuto quotidiano, del suo
lavoro, che non gli piaceva ma gli dava benessere e notorietà. Al centro
della trasmissione la solita Juventus cui era stato regalato un rigore. A lui
non fregava nulla della Juventus, del Milan, dell’Inter. Lui era genoano
da sempre e, in quella fogna che era diventato il mondo del calcio, es-
sere genoani era un punto di rottura, non perché quella del Genoa fosse
una società virtuosa, ma perché, se non altro, le prendeva quasi sempre
da tutti, comunque andasse. E così era quasi sempre stato. La genoanità
era uno psicodramma ereditato dal padre, come il sentirsi di sinistra,
quindi perdente, in un Paese sempre più individualista, qualunquista e
preda di sfrenate demagogie, di luoghi comuni, di populismo, di razzi-
smo, di sostanziale conformismo mascherato da “una visione moderna”.
Archiloco, avendo introitato, quasi inconsapevolmente, che comunque
andasse si perdeva ogni giorno qualcosa, cercava di “fissare” i momenti
buoni che erano sempre più rari.

       Pensava spesso ai tempi della sua giovinezza ma non era nostalgia.
Era, piuttosto, malinconia per quel che poteva essere e non era stato,
come ripeteva spesso parlandone con il Duca che non era portato alla ma-
linconia: “Quante balle! E, sotto, sotto, tutto quel che poteva essere e non
è stato per te si riduce a delle ragazze dei tempi delle mele, anzi, dei tempi
dei krapfen alla marmellata”.

       Non aveva voglia di andare a dormire. Quella trasmissione televi-
siva lo aveva svuotato, provava angoscia. Un telespettatore, al telefono,
aveva definito loro giornalisti come moralizzatori della domenica, che sco-

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