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Gordita e Beatriz?”. Sole era stata in Italia, con la figlia, ospite del Duca nella
sua villa di Genova. Archiloco si trovava in Messico per i mondiali di cal-
cio. Così non l’aveva vista. Meglio così! Aveva evitato un sicuro imbarazzo.
Quegli amici, ai quali non voleva raccontare della sua vita, erano
come una coscienza lontana, sempre più lontana, con la quale non vo-
leva fare i conti.
Loro avevano notizie dal Duca: “Archiloco? Un grande giornali-
sta, scrittore, conteso dalle televisioni… patatone, pardon, donne ange-
licate a mazzi…”.
Milano non gli piaceva, niente a che fare con Genova, con i suoi
carruggi, la sua introversione.
Di notte era anche peggio.
L’unica Milano che gli piaceva era quella nel film di Camerini. Una
Milano degli anni trenta che non c’era più.
Non aveva voglia di andare in albergo. Chiamò un taxi per farsi
portare, come faceva ogni tanto, in Corso Sempione. L’arco della pace,
Piazza Firenze. Poi, Piazza Castello, Via Dante. Gli unici posti di Milano
che gli ricordavano qualcosa. Scendeva dal taxi e faceva due passi per “fis-
sare” quei momenti in cui l’angoscia poco a poco svaniva e subentrava
un po’ di serena malinconia.
Forse sperava che passasse un tram con a bordo Mariuccia? No.
Quel tram per lui era passato tanto tempo prima ma non l’aveva preso,
si era attardato a fare dell’altro.
Quella notte, però, l’attendeva una sorpresa. Mentre saliva sull’unico
taxi che era riuscito a trovare, per rientrare in albergo, intravide una ragazza
che entrava dall’altra porta. Si trovarono seduti sui sedili posteriori.
“Prego, dove vuole andare?”, fece Archiloco.
“Dica prima lei… io vado distante… ma lei è il giornalista spor-
tivo? Lo scrittore? Anche io lavoro in TV”.
“Sì, sono io… piacere…”, Archiloco le aveva dato la mano.
Era molto bella, alta, sofisticata, elegante, soprattutto giovane. Ar-
chiloco indicò il nome del suo albergo al tassista che, riconosciutolo, co-
minciò a tempestarlo di domande sulle vicende calcistiche. Era milanista e
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