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CAPITOLO OTTAVO

       Un giorno a Genova, dalle parti di Piazza Corvetto, Archiloco fu
investito da un’auto, guidata da una ragazza, mentre stava attraversando
la strada sulle strisce. Fu un urto violento e venne scaraventato su
un’aiuola.

       Rinvenne in una camera d’ospedale. Sentiva dolori da tutte le
parti. Un’infermiera, che gli stava seduta accanto, chiamò subito un dot-
tore che gli diede le prime informazioni mediche: “Lei è stato investito
da un’auto. Faremo tutti gli accertamenti. Ha problemi alla schiena, delle
costole incrinate, una ferita sulla fronte ed un braccio probabilmente
rotto oltre a escoriazioni in varie parti del corpo. Fuori ci sono suoi col-
leghi giornalisti ed un suo amico, l’industriale degli spot sui detersivi che
sta facendo intrattenimento. Possono aspettare. Ci sono i suoi genitori.
C’è anche la ragazza che l’ha investita… è distrutta poverina, è con sua
madre… li faccio entrare?”.

       “Sì, grazie dottore”.
       Entrarono i genitori di Archiloco. Il padre silenzioso, come sem-
pre, con il cappello in mano. La madre gli prese la mano piangendo: “Ma
come è stato? Il dottore mi ha detto che va bene…”.
       Li seguirono la ragazza dell’incidente e la madre. La ragazza lo colpì
subito. Era una di quelle ragazze che Archiloco chiamava di Balthus; che
emanavano una stana magia. Una sua anziana insegnante, a Torino, aveva
tenuto una lezione su Balthus, l’eterno bambino del sogno ad occhi
aperti, e sulle meravigliose fanciulle dalle quali il grande pittore era ra-
pito. Thérèse, Georgette, Cathy, Alice, Frédérique. Per i malpensanti si
trattava del banale sogno di un erotomane. L’insegnate, invece, non ci
vedeva il peccato ma il sogno onirico, l’innocenza. Anche Archiloco
l’aveva intesa così, in modo quasi istintivo, quando aveva visto le ripro-
duzioni dei quadri di quelle fanciulle. Vi aveva trovato Mariuccia, la ra-
gazza del film, nella scena al bar quando entra per cercare di chiarirsi con
Bruno/De Sica per lo “scherzo” che gli aveva fatto civettando, per fargli

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