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“Più o meno, con un amico del marito di Gianna. È lei che me
lo ha presentato. Ha un po’ di anni più di me. Una persona matura, se-
ria. Non so se e quando mi sposerò”.
“Beh, abbiamo appena vinto il referendum sul divorzio e mi re-
sta, comunque, una speranza. Se ti sposerai, fammelo sapere…”.
“Mi farai il regalo?”.
“Certo! Cosa ti piacerebbe?”.
“Che pubblicassi il romanzo che hai dentro…”.
“Ti è rimasta l’idea fissa?”.
“L’idea fissa? Ti sei lasciato tutto dietro… per cosa? Te ne sei fatto
una ragione? Sono convinta che dentro tu abbia qualcosa da dire…”.
“Non mi crederai ma questo lavoro che non mi piace mi ha fatto
sentire libero dalle tutele dei genitori, di zia Pallina, del Duca, del padre
del Duca. Libero per la prima volta. Col Duca ci vediamo, siamo sem-
pre amici ma ognuno per sé. Anche lui se n’è accorto ed ha capito. Non
parliamo mai del lavoro che facciamo, è un’altra dimensione. Però che
strano: mi rimproveravi per la mia sudditanza nei confronti del Duca…”.
“Ti rimproveravo per le scemenze che facevate. Avete lasciato
l’Università. Hai mortificato il tuo talento e lui che fa l’industriale nelle
aziende di papà. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare. Perché non provi
a scrivere qualcosa di serio?”.
Archiloco la guardava in silenzio.
“Non mi rispondi?”.
“Sei venuta per farmi questa domanda?”.
“No, è un’altra la domanda: perché non mi hai chiesto di venire
a vivere con te a Genova?”.
“Ci saresti venuta? E la tua delusione?”.
“Non lo so se ci sarei venuta ma la vera delusione è stata proprio quella
domanda che tu non mi hai mai rivolto”, Zuccherino aveva i lacrimoni.
Entrò un’infermiera e dietro di lei tutta la banda.
Quando restò solo Archiloco si mise a pensare che cosa avrebbe risposto
Zuccherino a quella domanda. Non aveva mai avuto il coraggio di fargliela.
Provava un dolore sordo, forte, lacerante, che non era provocato dalle ferite.
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