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“Ah, ah, ma che latino è?”, Gianna si scompisciava
“Ignorante! È un’invocazione maccheronico-ciceronesca esplosa
nella passione. Io rispondevo: tranquille! ”, il Duca, contagiato dalla
Gianna, aveva preso a ridere.
Ridevano anche gli altri.
“Ma tu non mi avevi detto che non c’entravi con quelle ragazze
di Norimberga quando le abbiamo viste?”, fece Zuccherino rivolgendosi
ad Archiloco.
“Cosa volevi che ti dicessi? Che ti recitassi il De Bello Gallico?”. Ar-
chiloco l’aveva messa sul ridere.
“Eh, cara Zuccherino, Archiloco è un gentiluomo e non parla di
certe cose…”, il Duca insinuava.
“Meglio così! Oggi sono troppo contenta… nonostante gli orec-
chioni. Ci facciamo gli auguri con un brindisi?”. Zuccherino era felice.
La ragazza portò lo spumante ed i bicchieri. I brindisi non fini-
vano più.
Poi, se ne andarono. Si sentiva la voce nasale del Duca che stava
uscendo dall’appartamento: “Mai vi fu un amore così nella bella Torino.
Galeotti gli orecchioni e tocchiamoci i coglioni! Pardon Zuccherino: toc-
chiamoci gli zebedei!”.
“Ciao amore”, Zuccherino salutò Archiloco e cominciò a sfasciare
il pacchetto che gli aveva portato. Conteneva un libro di Albert Camus:
La peste. “Brrr”, fece iniziando a sfogliare le pagine.
Il portiere del palazzo, vedendo il Duca con la maschera antigas,
strabuzzò gli occhi ed esclamò allargando le braccia: “Varda sì!”.
“Sto facendo un controllo, in questo palazzo si piscia troppo
fuori dal vaso”, il Duca soffiava sul filtro della maschera facendone
uscire un sibilo. Gianna rideva.
Gli orecchioni di Zuccherino ispirarono al Duca un altro “mo-
mento dei suoi”. Si presentò nella bottega di Totò con le orecchie fasciate
da un fazzoletto ed un cartello al collo con la scritta “Ho gli orecchioni”.
Si sedette su di una sedia facendo finta di leggere il giornale. Ogni cliente
che entrava diceva la sua. Qualcuno se ne andava di corsa temendo il con-
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