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CAPITOLO DICIANNOVESIMO
Zuccherino, Gianna, Archiloco e il Duca di fronte ai casi che in-
contravano nella vita si erano trovati spesso a domandarsi: “Chissà cosa
direbbe Totò… chissà cosa direbbe la Gina…”. Domande che li accu-
munavano, ora che gli anni erano trascorsi, ma che non trovavano ri-
sposta. Chissà! Inutile supporre. Totò e Gina se ne erano andati da
tempo e i quattro amici se li portavano dentro sperando che riapparis-
sero nei momenti difficili, tristi, di abbandono. Ma loro se ne stavano
zitti. Non avevano più niente da dire che non fosse quello che era stata
la loro vita fatta di paradossi, beghe, emozioni, grandi momenti, gene-
rosità, piccole miserie e quotidiane fatiche, contraddizioni, ma così libera.
Una libertà mai conclamata, di cui forse non si rendevano neppure bene
conto loro stessi.
Una volta, quando frequentavano l’Università di Torino, i quat-
tro amici si erano trovati, dopo una passeggiata, appoggiati al parapetto
del ponte napoleonico che da Piazza Vittorio scavalcava il Po verso la
Gran Madre. Guardavano l’acqua scorrere. Ad un tratto, il Duca se ne
uscì con una domanda a voce alta: “Ma noi di chi siamo figli?”.
Zuccherino, Gianna ed Archiloco lo osservarono in silenzio senza
trovare una risposta. Pensarono a qualche numero del loro amico.
“Tu Archiloco non mi pare abbia molto da spartire con tuo padre
e tua madre. E Zuccherino? Viene direttamente dalla luna mentre i suoi
vecchi vengono dal medioevo. Tu Gianna da dove vieni? Sei una ragazza
futurista e i tuoi ballano Wienna Wienna. Io, poi, a volte mi sento come
un orfanello”, il Duca pensava a voce alta.
“Sei sempre il solito esagerato… il mondo si muove e siamo di ge-
nerazioni diverse… resta l’affetto. il volersi bene…”, Gianna cercava di
impostare un ragionamento ma il Duca l’interruppe: “Ma vi è mai ca-
pitato di parlare con i vostri genitori dei problemi, delle difficoltà che in-
contrate? Parlo di questioni vere…”.
Il silenzio dei tre amici fu molto eloquente.
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