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il Palazzo Ducale, sede storica di grandi decisioni.
            Da quel giorno, il Rino diventò il cavaliere errante dalla grassa
          figura ed il lavapiatti il suo fido scudiero. Mancava, è vero,
          Dulcinea ma c’era una matura commessa di una libreria che si
          mangiava il Rino con degli occhi verdastri, da pesce bollito, che
          erano gravidi di lubriche promesse. Non c’era neppure ronzinante
          ma il furgoncino del Rino poteva servire alla bisogna.
            Il Rino si incamminò verso il destino di un moderno cavaliere:
          per elmo aveva il basco del Che, per lancia la fida penna stilogra-
          fica, regalo della prima Comunione, per scudo il libretto rosso di
          Mao Tse Tung. “On the road” urlò, ricordando antiche letture beat.
            Pigiò l’acceleratore del furgoncino e si diresse verso l’Aurelia.
          Dietro, sul cassonetto, il piccolo lavapiatti scrutava l’orizzonte
          segnalandogli i semafori come occhi di draghi, i vigili urbani come
          masnadieri da strada, le torri di S. Benigno come cupi manieri dove
          orchi crudeli tenevano imprigionati gatti fatati, canguri imbranati,
          e leggiadre pulzelle.
            Ma il Rino non aveva tempo per liberare quei miseri: doveva par-
          tire per la ricerca dell’elmo di Mambrino che faceva rima con Rino
          e che donava la saggezza a chi lo possedeva.
            Il Rino saggio! Era come la neve a maggio, i progressisti che
          facevano una politica di sinistra, i Parchi regionali senza la caccia,
          il selciato del vicolo della trattoria  senza buche e fiumi carsici.
            “L’elmo di Mambrino!”, urlò il Rino quasi in estasi.
            “Occhio al camion!”, gli rispose lo scudiero saltando dal casso-
          netto. L’urto fu inevitabile: il Rino si risvegliò in un camerone buio
          in cui, altri disgraziati come lui, giacevano in luridi letti. Un
          monatto dalla cappa bisunta gli porgeva una ciotola contenente un
          liquido scuro del tipo del brodino della trattoria “Setteveleni”. Era
          quella l’unica cosa che gli richiamava tempi felici, ore gioiose, atti-
          mi sublimi. Il resto era agghiacciante: orde di topi scorrazzavano
          per il camerone inseguendo gatti e infermieri.
            L’Assessore alla sanità dell’Ente Grigio, tale Bertoldo, rassicura-
          va i malati e li pregava di portare pazienza e ripeteva, come un


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