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incontro rimandato per quasi tutta la vita, era una cosa che la
metteva in ansia, in agitazione… mah… per una volta avrebbe
lasciato mano libera al destino. Voleva congratularsi con lui perchè
aveva ottenuto un importante riconoscimento alla carriera di
scrittore. Uno dei tanti, ma, in questo caso, forse più importante
perché veniva dopo anni di silenzio, d’emarginazione. Voleva
parlargli, semplicemente parlargli, più d’ogni altra cosa, sperando
che lui la stesse a sentire. Chissà che cosa gli passava per la testa,
era sempre da un’altra parte.
“Si fermi, voglio scendere: faccio due passi a piedi. Lei cerchi un
parcheggio. La chiamerò sul cellulare”, fece, rivolgendosi
all’autista. Si era avviata verso Porta Palazzo. Non era mai passata
tra quelle bancarelle piene di mercanzie, in quel disordine di voci,
di odori, di gente di tutti i colori.
In poco tempo, si trovò a reggere un sacchetto contenente un
accendino, banane, un melone, peperoni.
Poi, passò davanti al Municipio e si diresse verso Piazza Castello.
Un gruppo di studenti guardava lo spigolo di un austero palazzo
dove era stato posto un grande piercing d’acciaio che buttava
gocce di sangue. Dal lato di Piazza Castello erano blu, dal lato del
Municipio erano rosse. Un insegnante con il megafono spiegava
che le gocce blu rappresentavano l’aristocrazia e quelle rosse la
Torino operaia e popolare.
“L’eterna divisione”, pensava: “Io di qua e lui di là, con i suoi
operai che magari adesso votano anche per i destrorsi ignoranti e
razzisti”. Ci siamo rovinati la vita con queste gocce… non siamo
mai riusciti a mescolarle, a farle sparire a poco a poco”.
Piazza Castello era piena di scolaresche. Un’insegnante, giovane,
carina, spiegava la storia architettonica di Palazzo Madama. Era
stata ad ascoltarla, poi si era fermata a guardare una scritta posta su
una piastrella di bronzo del pavimento. Ricordava un pastore
valdese impiccato e arso sul rogo nel 1558. “Poveri valdesi”,
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