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“Si vede che è come mio zio… un navigatore…”.
“Non ti viene il dubbio che abbiano fatto anche loro qualcosa di
buono?”.
“Tuo padre un grande merito ce l’ha…”.
“Ah, allora cominci ad ammettere…”.
“Ha il merito di avere una figlia come te, con le fossette, i riccioli
d’oro, sempre a puntino”, l’aveva abbracciata ridendo.
“Ha dei meriti ben più importanti….”, la ragazza era seria.
Era ripresa così l’interminabile discussione che sarebbe durata
per tutta la loro vita, con alti e bassi, ognuno nel proprio fortilizio,
con grandi momenti di passione, d’amore, di tenerezza ed
interminabili periodi di lontananza in cui perdevano la cognizione
del tempo.
Quel giorno, però, era di festa. In un cortile vicino alla piazza,
un’orchestrina suonava della musica americana. Si misero a ballare
e poi corsero a cercare un posto dove poter stare soli.
La reazione popolare contro i fascisti era stata terribile. Dopo
anni e anni di violenze e atrocità subite, c’era stata una resa dei
conti spietata, implacabile.
Quell’orchestrina che suonava, sembrava a quei due ragazzi un
omaggio alla loro giovinezza, alla loro voglia di vivere.
Trovarono un posto dove poter stare soli sulla riva del Po, tra
arbusti alti ed accoglienti. Fecero all’amore, incuranti che qualcuno
li potesse vedere.
Il giorno dopo, il ragazzo era a pranzo in casa dello zio: “Ma
come fai ad essere sempre così distaccato? Il federale che è stato
impiccato non era un tuo amico?”.
“Non eravamo amici, solo reciproche convenienze… l’amicizia è
ben altra cosa… e poi io ho aiutato la Resistenza…”.
“Convenienze? Hai aiutato la Resistenza? Ma tu da che parte sei
stato veramente? La mia amica mi ha detto di averti visto curare
dei partigiani dalle parti di Borgo Vittoria…”.
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