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immortale. (Il popolo acclama entusiasticamente al Duce). “Sette
anni or sono noi eravamo qui riuniti in questa piazza per celebrare
la conclusione trionfale di una campagna durante la quale avevamo
sfidato il mondo e aperto nuove vie alla civiltà (applausi
prolungati); la grande impresa non è finita: è semplicemente
interrotta. “Io so, io sento che milioni e milioni di italiani soffrono
di un indefinibile male che si chiama il male d’Africa. (Sì!).
“Per guarire non c’è che un mezzo: tornare: E torneremo: (La
moltitudine prorompe in nuove irrefrenabili acclamazioni e grida
con una sola voce: Sì!). “Gli imperativi categorici del momento
sono questi: onore a chi combatte, disprezzo per chi s’imbosca e
piombo per i traditori di qualunque rango e razza. (Altissimi
applausi). “Questa non è soltanto la mia volontà. Sono sicuro che è
la vostra e quella di tutto il popolo italiano” -.
Era il pomeriggio di un giorno di maggio. Il ragazzo dagli occhi
vivaci, seduto al tavolino, stava leggendo ad alta voce un articolo
apparso sul Corriere della Sera. Cercava di imitare il Duce nei toni
della voce e nei movimenti del capo. Con lui, c’era la ragazza
bionda con delle meravigliose fossette sulle guance.
“Che coglionate! Se ci fosse un Dio giusto spedirebbe all’inferno
questo coglione e tutti i coglioni che lo acclamano! Siamo con le
braghe in terra e lui vuol tornare in Africa! A calci in culo
bisognerebbe mandarlo in Africa! Siamo ridotti al punto che ci
dobbiamo augurare di perdere la guerra, mentre gli inglesi ci
bombardano”, il ragazzo parlava a voce alta.
“Parla piano! Sei matto? Se ti sentono…”, la ragazza era
preoccupata.
“E chi vuoi che mi senta… siamo soli… il barista è sempre in
giro… a trafficare con la borsa nera. Dice sempre di trattarci come
principi e, intanto, ci ha dato il surrogato di caffé e un intruglio che
vagamente assomiglia al cioccolato”.“Ma chi è che ti dice queste
cose? Addirittura che dobbiamo perdere la guerra. Non è
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