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Mentre riponeva i guanti, dalla borsetta spuntò un manifestino.
Era firmato “Comitato operaio” e rivendicava questioni
economico-alimentari, la liberazione di operai arrestati, la cacciata
delle guardie metropolitane dalle officine. Terminava con un “Viva
la pace e la libertà”.
“E’ un manifestino clandestino. Da chi lo hai avuto?”. Il ragazzo
era preoccupato.
“Da una mia amica, la Giusi, la conosci anche tu. Suo padre
lavora in FIAT”.
“Quanti te ne ha dati?”.
“Una ventina, che ho già lasciato in giro. Li ho tenuti nascosti nel
reggiseno… ho messo quello di mia madre che è più capiente.
Questo l’ho tenuto per te… pensa se lo sapesse mio padre!”.
“Mi sembrava che fosse cresciuto qualcosa lì davanti…”, il
ragazzo “tastava”.
“E’ un reggiseno con coppe rigide…per signora…”.
“Lo sento… sembra un’armatura. Sei stata attenta a non farti
vedere con i manifestini in mano?”.
“Ti preoccupi per me? Allora, mi ami…”, sorrideva.
“Mi preoccupo sì! Non posso pensare che ti succeda qualcosa.
Abbiamo a che fare con delle carogne… si sono ancora di più
inferociti da quando sono ritornati in sella grazie ai nazisti”,
l’aveva accarezzata.
“E allora tu? Lo so cosa fai… partecipi a riunioni di antifascisti e
chissà cos’altro. Me lo ha detto la Giusi. Lo avrà saputo dal padre”.
“Che c’entra…”.
L’anno scolastico, dopo varie peripezie, era finito. L’ultimo anno
di liceo! Ora bisognava pensare all’università.
I due ragazzi erano con i compagni di classe a fare le foto lungo
le scale della scuola. “Mio padre vuole che vada in Riviera perché
ha paura dei bombardamenti… io preferirei stare qui con te, se tuo
zio non si decide…”.
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