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Miserie, tragedie, di questa sporca guerra. Speriamo che finisca…
orrori n’abbiamo già visti troppi…”.
Il ragazzo restò muto.
“Corri, corri, non ti fermare! Bòia fàuss!”, il comandante lo
spingeva in avanti verso un vallone. Era buio. Non si vedeva
niente. Una sentinella aveva dato l’allarme: “Ce li abbiamo
intorno! Via! Via!”. Si sentì una raffica di mitra.
Si era saputo, dopo, che una spia aveva condotto i repubblichini,
degli alpini della divisione Monte Rosa, vicino all’accampamento.
Fortuna che la sentinella era sveglia e con gli occhi aperti. Aveva
sentito dei rumori provenienti da varie direzioni e aveva sparato a
due sagome scure, ferme su una mulattiera.
Nel fuggifuggi, il ragazzo dagli occhi vivaci prese delle giberne,
lo zaino della macchina da scrivere e si mise a correre. Correvano
e ansimavano tutti discendendo un vallone aspro, pieno d’insidie.
Alcuni di loro si erano fermati ed avevano piazzato un
mitragliatore per contrastare i repubblichini. Cercavano di coprire
le spalle ai compagni in fuga. Il ragazzo finì in un dirupo. Ad un
tratto, sentì un dolore lancinante alla caviglia destra. Cadde
nell’acqua bassa di un torrente sassoso.
Si sentivano spari in lontananza, colpi di mortaio. “Tirano sulla
cucina da campo! Hanno i lanciafiamme!”, urlò qualcuno.
Le tende bruciavano e si sentiva un acre odore di fumo.
Gli spari, le esplosioni, cessarono. I repubblichini non
inseguirono i partigiani lungo il vallone per timore di sorprese in
una zona che non conoscevano. Rientrarono da dove erano venuti.
Il ragazzo dagli occhi vivaci scese, sorretto da un compagno,
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