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“E da chi?”.
“Da noi…”.
“Da voi?”, la domanda era stata espressa con un filo di voce.
“Sì da noi, l’aveva fatta grossa! Veniva dalla milizia ferroviaria.
Prima di fare il furiere era nell’intendenza, si occupava
dell’approvvigionamento dei viveri. Di sua iniziativa, ha effettuato
una requisizione ad una famiglia, in precedenza fascista, ma non
ostile. Abbiamo provveduto alla restituzione di soldi e preziosi.
Dobbiamo tenere in buon conto il rapporto con chi non ci osteggia
e magari ci da una mano. Poi, è venuto fuori un fatto gravissimo…
c’era stata una violenza su una ragazzina di quindici anni… che
non riesce più a pronunciare una parola davanti ad estranei. A l’ha
ruinala, na fijëttin-a. E a l’ha negà l’evidensa. Un bastardon!
Abbiamo indagato attraverso il SIM, che è il nostro servizio
informazioni, e c’è stata la conferma. L’abbiamo processato,
condannato e giustiziato”.
“Vi siete assunti le vostre responsabilità...”.
“Le responsabilità sono una cosa dura, ma fanno gli uomini…
non siamo dei selvaggi…. se no che mondo nuovo sarà. Fieul… it
capisse che temp ch’i vivoma…”. Poi, il comandante gli chiese: “A
scarpe come stai?”.
Il ragazzo gli fece vedere gli scarponi da montagna che calzava.
Erano seminuovi ed erano stati di suo padre.
“Bene, le scarpe, d’inverno, sono fondamentali. Allora, ti va di
fare il furiere? Io sono un operaio metallurgico, ho fatto solo la
quinta elementare anche se ho imparato qualcosa in galera dai
compagni che ne sapevano più di me. Scrivere non è mai stato il
mio mestiere”.
“Lei è comunista? Mio padre lo era… io sono qui per questo…”.
“Comunista è una parola grossa, ma almeno proviamoci… sai
usare la macchina da scrivere?”.
“Sì, abbastanza”.
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