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una sera sotto la tenda comando del distaccamento, che si trovava
in una fitta boscaglia. Avrà avuto una trentina d’anni. Capelli,
barba, baffi, corvini. Era seduto su un seggiolino e stava
mangiando del pane secco che tagliava a pezzetti con un piccolo
coltello. Dietro di lui, seduti ad un tavolo, due uomini guardavano
una carta geografica. Uno di loro era, probabilmente, il
commissario. Il comandante prese un foglio battuto a macchina
dalle mani della staffetta, una ragazza, che lo aveva accompagnato
in montagna, poi gli si rivolse: “Ciao, tu sei lo studente? Il nipote
del professore, il chirurgo?”, parlava con uno spiccato accento
piemontese.
“Sì, il professore è mio zio… ho portato uno zaino pieno di
medicinali che mi ha dato lui…”.
In quel frangente, colmo dei colmi, aveva scoperto che lo zio, da
lui sempre visto come dedito a trafficare con il potere fascista, si
era improvvisamente rivelato un oppositore del regime in contatto
con la Resistenza. Cosa che poi, dopo la Liberazione, gli aveva
consentito di diventare il più potente barone del più importante
ospedale della città e dell’università.
Non era mai riuscito a farsi un’idea precisa di quello zio che gli
appariva come un grande navigatore, anche se, una volta, gli aveva
confessato di non saper nuotare. “In mare forse… ma sulla
terra…”, aveva pensato il ragazzo.
Ora, grazie alla sua “raccomandazione”, che gli aveva estorto
dopo giorni e giorni di discussioni, era potuto salire in montagna e
trovarsi davanti a quel comandante partigiano.
Mentre si stava recando all’appuntamento con la staffetta che lo
doveva accompagnare dalle parti della Val di Lanzo, con mezzi di
fortuna, gli avevano requisito la bicicletta. Si trovava nelle
vicinanze di Piazza Statuto. Lì erano stati fucilati degli ostaggi per
rappresaglia ad un attentato commesso contro soldati tedeschi. In
Borgo San Paolo, un partigiano si era ucciso gettandosi dalle scale
di casa per non farsi catturare. Era andato a trovare la madre. Per
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