Page 51 - pag1-90
P. 51
bon-a fortun-a e fà atension al frèid… e ricorda: ‘La mia patria è il
mondo intero…’ ”.
“Seneca…”, il ragazzo ricordava letture scolastiche.
“Era un anarchico?”.
“Grande comandante, ti voglio bene”. Il ragazzo dagli occhi
vivaci rimase in silenzio, a pensare. Aveva il magone. Lasciò gli
scarponi al partigiano con il quale aveva legato di più. Era un
siciliano, di Siracusa, salito in montagna, dopo l’otto settembre,
insieme con un gruppo di soldati che aveva rafforzato il
distaccamento. Erano tutti esperti nell’uso delle armi.
“Tienili tu, tanto a me con questa caviglia non servono…”.
“Grazie! Mi ricorderanno di te. Non ho neppure fatto in tempo a
insegnarti a maneggiare questo”, gli fece indicando un fucile
mitragliatore Bren.
Gli aveva lasciato anche la macchina da scrivere e le giberne con
la raccomandazione di restituire tutto al comando per il futuro
furiere. “Stai tranquillo! Consegnerò a chi di dovere. Io non so
quasi scrivere neppure a mano. Valentino, mangia il pancotto che
si fredda”.
Non l’aveva più rivisto. Anni dopo, aveva saputo che, dopo la
guerra, era emigrato in Belgio a lavorare in miniera.
Fu così che fece il partigiano senza sparare un solo colpo di
fucile. Aveva avuto in dotazione un moschetto, che si portava
dietro come un bastone, la macchina da scrivere e delle giberne,
che fungevano da archivio, dove teneva anche i nastri di ricambio
della macchina, matite, carta copiativa, fogli, timbri. Scriveva,
scriveva: relazioni al comando di brigata, ordini del giorno,
disposizioni, verbali. Ma anche appunti che gli sarebbero serviti,
dopo la Liberazione, a scrivere un romanzo di successo che lo
avrebbe fatto conoscere, ancora così giovane, al grande pubblico.
La ragazza con le fossette gli aveva dato una mano per la
pubblicazione. Aveva convinto il padre a perorare la causa presso
un editore suo amico. Nel romanzo, che aveva dedicato “ad una
51