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“Io prendo lezioni private d’inglese, la mia insegnante mi ha
parlato di Lawrence, ma non mi ha mai dato il romanzo, aveva
timore che mio padre non avrebbe gradito… mi è rimasta la
curiosità. Hai fatto bene a parlarmene. Quando torneremo a Torino,
me lo presterai?”.
“Te lo regalerò con dedica. Sai che Lawrence è stato da queste
parti negli anni venti? La moglie Frieda ha avuto una turbinosa
relazione con un bersagliere, uno del posto. Dicono che il romanzo
sia stato scritto qui…”.
“Sei proprio documentato…”.
“Me ne ha parlato Cola, il nostro amico che sa tutto di questi
posti, vita e miracoli”.
“E’ stato proprio un miracolo… qui è rimasta un’atmosfera
incantata…”.
Erano in un altro mondo, in un altro tempo, quelli di Lawrence.
Dopo quel pomeriggio in soffitta, tutti i timori, gli imbarazzi,
erano scomparsi. Quando dormivano in galleria, aspettavano che la
zia prendesse sonno e poi se ne stavano abbracciati al buio, come
due sposi. In quel mondo di sfollati, si trovavano bene. Dicevano
di essere in viaggio di nozze.
A guastare quel clima così dolce, ci fu un bombardamento che
causò lutti e rovine in tutta la zona costiera.
“Forse era meglio se ce ne stavamo a Torino, in collina. Quanti
morti… povera gente…”, la zia della ragazza dalle fossette era
agitata, ma non solo per il bombardamento: aveva capito che
nell’atteggiamento della nipote era cambiato qualcosa. Aveva uno
sguardo trasognato e quel ragazzo se lo mangiava con gli occhi.
Aveva un presentimento… non fosse stato mai! Pensava alla
sorella, al cognato. Che scandalo! In cuor suo sperava di sbagliarsi
e intanto “indagava” con tatto: “Ma quel tuo amico lo sa che una
ragazza di buona famiglia va solo sognata?”.
“Sì, lui mi sogna sempre e io sogno lui…”.
“E cosa fate in questi sogni?”.
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