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“Abbassa la tua radio per favor…”, i ragazzi erano entrati tutti
insieme nella saletta. Cantavano e ridevano a crepapelle.
“Ho capito subito che era uno scherzo, ma mussa cosa
significa?”, la zia l’aveva presa con spirito, anche se c’era da
dubitare che avesse capito subito che si trattava di uno scherzo.
La linea ferroviaria, protetta da una scogliera, s’infilava in una
galleria rasentando il mare proprio sopra ad una piccola spiaggia
ricoperta d’alghe. Era il loro posto.
Una moltitudine di persone si era rifugiata, per timore dei
bombardamenti, nella galleria del treno dove si poteva dormire,
cucinare, rammendare i vestiti, cantare e fare mille altre cose. Ogni
tanto, passava un medico a trovare dei parenti. Portava le notizie
sull’andamento della guerra e, intanto, faceva un po’ di
“ambulatorio”.
Quel pomeriggio, mentre una giovane donna allattava il suo
bambino standosene seduta sul muretto che delimitava la sede
ferroviaria, una nonna cercava di far fare la popò al suo nipotino in
una fascia di ulivi soprastante la galleria: “Dai! Forza! Che poi ti
do un biscotto!”. Il bambino non si impegnava troppo, era distratto,
guardava verso il mare: “Cosa fanno quelli là?”.
“Giocano… beati loro… sembrano felici… di questi tempi…”, la
nonna pensava a voce alta.
I due ragazzi dagli occhi vivaci e dalle fossette si stavano
baciando seduti sulle alghe di quella piccola spiaggia.
Poco dopo, furono raggiunti da due loro amici che erano la figlia
del proprietario dell’albergo dove alloggiava la ragazza dalle
fossette e Cola, un ragazzo alto e simpatico, gran raccontatore di
barzellette, che parlava sempre di Petrolini: “Il suo Nerone è una
presa per il culo al Duce: Bene! Bravo! Bis! Piripipì, piripipì,
poropopò, poropopò, parapira, parapà, oh, oh, oh, pom, pom, pom,
Bene! Bravo! Grazie!”.
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