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Il giorno dopo, i due ragazzi andarono in bicicletta a trovare
il loro amico all’ospedale. Si trovavano nella sala d’attesa del
pronto soccorso:“A cosa pensi?”, la ragazza lo accarezzava.
“A questa sporca guerra… che non finisce mai… quand’è che la
perderemo? Torino è stata di nuovo bombardata. Quante
sofferenze dovremo ancora sopportare?”.
“Se perderemo la guerra, finiranno le sofferenze? Ne sei sicuro?
Io non riesco ad immaginare il dopo… chi ce lo garantisce?”.
“Dopo, piano, piano, cominceranno a realizzarsi le nostre
speranze… con un po’ di gioia, che non guasta”.
“Chi te le dice queste cose? Il professore delle magistrali?”.
“Sì, quel povero gobbo che non si è fatto piegare. Io gli
credo…”.
Cola era stato operato. Aveva perso il piede. Era molto provato.
Lo assisteva sua madre.
Poterono scambiare solo poche parole: “Come stai?”.
“Petrolini direbbe: uh che dolore! uh! uh! uh! Non potrò più
giocare al calcio, a regina reginella, ballare… e cos’altro non potrò
più fare? La batteria la potrò suonare anche con un solo piede… e
almeno non dovrò più lavorare per la Todt”, il tono della voce di
Cola era amaro e dolce allo stesso tempo.
“Potrai fare mille cose… appena perdiamo questa sporca guerra
vedrai… tutto cambierà…”, il ragazzo gli aveva stretto la mano.
“Pensa a guarire…”, la ragazza gli aveva dato un bacio in fronte.
Mentre pedalavano sulla strada del rientro i due ragazzi, se ne
stavano in silenzio. Lui pensava: “Appena a Torino parlerò con il
mio amico professore: ci sarà un modo per dare una mano per
combattere questi fascisti, questi nazisti, io li odio. Pensare che
non riesco ad odiare gli inglesi che ci bombardano”.
Lei stava studiando il modo per far fare una protesi che
consentisse a Cola di non sentirsi invalido. N’avrebbe parlato a suo
padre che sapeva tutto di tutto.
Si fermarono davanti ad una fontanella. Le spruzzò l’acqua sulla
faccia. Lei si mise a correre e lui ad inseguirla.
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