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“Ma benedetto ragazzo, ti ho appena fatto l’accostamento con il
        D’Annunzio! Vogliamo mettere anche lui tra i crepuscolari? Ma
        insomma!”.
          Il ragazzo continuava a non capire bene. Sapeva solo che quando
        leggeva i versi del Gozzano si estraniava da tutto. Era solo con se
        stesso. Svanivano i grandi scenari della storia e il mondo si faceva
        più piccolo. Il suo pendolo si fermava tra “Le buone cose di
        pessimo gusto”. Un rifugio sereno.
          Il professore si era avviato verso Via Po.
          “Maramao, Maramao, fanno i mici in coro. Maramao, Maramao.
        Maramao perché sei morto? Il Perducca è ormai risorto, i nazisti
        son nell’orto, la vittoria è nel cortil. Maramaooo, Maramaooo”. I
        componenti del gruppo Maramao, seduti sulla scalinata, cantavano,
        cercando di imitare il Trio Lescano.
          Un loro amico li osservava divertito.
          “Ti diverti? Ma non sei un fascista?”, una ragazza lo guardava un
        po’ preoccupata, temendo una sua reazione.
          “Perché un fascista non può essere di spirito?”.
          “Io non ne conosco… sono tutti dei tromboni…”.
          “Adesso ne conosci uno… perché non vieni con me a fare due
        passi?”.
          Lui si chiamava Gerardo e lei Lauretta. Di passi, poi, ne fecero
        molti insieme. Diventarono inseparabili finché lui non le disse di
        essersi arruolato.
          “Arruolato? Per la Repubblica sociale? Ma ti rendi conto? Ora
        che sta andando tutto a rotoli?”, Lisetta era addolorata.
          “Era mio dovere… proprio perché sta andando tutto a rotoli…”,
        l’aveva abbracciata.
          Quando partì con il treno, quelli del gruppo Maramao, andarono
        a salutarlo a Porta Nuova.
          Dopo, andarono in una latteria. Lauretta piangeva.
          “Ma glielo hai detto che tua madre è ebrea?”, la ragazza dalle
        fossette le asciugava le lacrime con un fazzoletto.



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