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Capitolo Quinto
Il padre della ragazza dalle fossette se n’era andato, dopo una
lunga malattia. Il ragazzo dagli occhi vivaci si era precipitato a
Torino. S’incontrarono, finita la funzione funebre, fuori della
chiesa. C’era tutta la Torino bene ma anche molti operai, gente
comune.
“Condoglianze… so che gli volevi bene…”.
“Sei venuto… grazie… grazie… mi avevano detto che eri in
Francia… non speravo di vederti…”.
“Mi ha dato la notizia il mio editore…”.
“Puoi venire a casa con me? La zia è rimasta con mia madre che
si è sentita male. Ti vorranno salutare”.
La grande villa in collina era stata restaurata, ampliata. La
ricordava diversa. Nel giardino, era spuntata una grande fontana.
La madre stava riposando e non volle disturbarla. L’incontro con la
zia fu commovente: “Hai visto? Il mio povero cognato? Ha
lavorato sino all’ultimo, nonostante la malattia. Penso sempre a
quei giorni al mare… in galleria, ma ti sei fatto crescere i baffi?”.
Lo aveva abbracciato con grande trasporto.
“Vieni, ci sediamo in giardino”, la ragazza dalle fossette gli
faceva strada verso una panchina di pietra posta sul belvedere del
giardino, dove avevano trascorso meravigliosi momenti della loro
giovinezza. In allora, una gattina che si chiamava Musetta, li
aspettava sempre vicino al cancello d’ingresso. Quando sognavano
una vita insieme, Musetta avrebbe dovuto far parte della loro
futura famiglia.
Torino, la loro Torino, era laggiù, con le fabbriche che
finalmente lavoravano a pieno ritmo, con i cantieri per riparare i
danni dei bombardamenti, con le sale da ballo che riaprivano; con
le sue tensioni politiche e sociali.
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