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“Sì, come Gianduja e Giacometta…”, il re dij quaj rideva.
Intanto, le cure al piede della paziente erano finite.
“Ora si accomodi lei, amica del mio amico, basta seufre…”.
Si era seduta togliendosi una scarpa. Poi, si era sfilata una calza
di nailon.
“Chila a l’ha ‘n pé da regin-a… della gamba poi non ne
parliamo…imperiale…”, il re dei calli era rimasto incantato da
tanto piede e da tanta gamba.
Andarono in un’osteria. Acciughe al verde, barbera, allegria.
“Tuo padre era un uomo allegro… ricordalo… gli piaceva
scherzare… ma quando era serio… era serio, i fascisti non l’hanno
mai piegato. Signorina, se lui è Gianduja lei è Giacometta… se lo
ricordi…”, li salutò così e ritornò a curare i piedi ed altri mali:
“Ëvnì dal re dij quaj…”.
Andarono in una casa che lei aveva in Via Roma.
Venne ad aprire una donna anziana: “Signora come va? Preparo
per la cena?”.
“Vivi qui?”.
“Non sempre, a volte vado da mia madre e da mia zia, in collina.
Adesso vivono insieme”.
Il mattino dopo, lei si alzò molto presto.
“Vai già via?”.
“Ti faccio preparare il caffé, io devo andare, che vuoi… la mia
vita è questa…”, lo baciò sulla fronte.
Mentre la donna anziana era intenta a preparare il caffé, l’uomo
che non era più un ragazzo entrò in una stanza che era adibita a
libreria. In uno scaffale, allineati secondo la data di pubblicazione,
c’erano tutti i suoi libri. Ne prese uno a caso. L’aprì e cominciò a
sfogliarlo. C’erano annotazioni a matita e pagine segnate da
“orecchie”. In particolare, notò una citazione di Van Gogh
sottolineata: “La vita passa così, il tempo non ritorna”.
Sugli scaffali, c’erano molte foto incorniciate. Lei con i genitori,
con la zia, con i compagni di classe al tempo del liceo, con le
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