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“Sono sua ospite con comuni amici”.
          “Posso dirti una cosa?”.
          “Dimmi”.
          “Sei sempre così bella… ti ho sempre nel cuore, ti hanno fatto
        persino cavaliere del lavoro, ma perché passi la vita frequentando
        degli stronzi?”.
          “Senti, bellissima: non ti voglio guastare la giornata. Ti lascio
        con il bolscevico. Ciao, ci vediamo”, il loro compagno d'università
        toglieva il disturbo.
          “Ti posso invitare a cena? Così chiacchieriamo un po’….”.
          “D’accordo, ma concedimi una tregua: non ricominciare con la
        borghesia italiana che pensa solo ai soldi. Ti ricordi, l’ultima volta,
        sul lago Maggiore? Ti ho piantato in quell’alberghetto…”.
          “Ancora adesso mi domando il perché, non stavo parlando della
        borghesia, ti stavo raccontando di Cola che era imbarcato su un
        transatlantico, che faceva il batterista nell’orchestra di bordo, che
        si era sposato…”.
          “Sì, che si era sposato. E io ti ho detto che avremmo potuto farlo
        anche noi, che eravamo ancora in tempo…”.
          “Ero rimasto stupefatto… mi avevi colto alla sprovvista… chi se
        lo aspettava?”.
          “Mi hai risposto che non eri ancora pazzo completamente per
        fare una cosa simile. Ti sembra sia stata una cosa da dire? A me
        che avevo almeno tentato di fare il primo passo… a me che ti
        amavo?”.
          “E adesso non mi ami più?”.
          “Questa volta non mi freghi… dillo tu se mi ami, o almeno se mi
        hai mai amato…”.
          “Ti ho amato sempre, sempre. Ma tu, ogni volta, ti sei dileguata
        come parvenza vana, tingendoti d’azzurro color di lontananza…
        cercando nell’industria risonanza…”.
          “Non rifugiarti in un Gozzano rivisitato a tuo uso e consumo…
        stai nella realtà, almeno per una volta”.



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