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vegetazione, era stare dalla parte dell’uomo, del
suo futuro.
Ma se il tempo, con il suo rullo schiacciasassi,
non si poteva fermare, le emozioni, le sensazioni,
un volto, un paesaggio, un particolare, un sorriso,
una carezza, però sì. Restavano dentro, nel-
l’anima, pronti a ricomparire. Così pensava lo stu-
dente-bagnino, che di cose dentro ne aveva già
tante.
Il mattino presto, quando rastrellava la
spiaggia, osservava gli arabeschi che i gabbiani,
con le loro orme triangolari, a forma di rombo e
di piccoli gigli, avevano lasciato sulla sabbia fine
durante la notte. Erano geroglifici che correvano
in parallelo, poi giravano in cerchio, poi si divi-
devano in direzioni diverse, poi si ricongiun-
gevano. In qualche punto, l’onda del mare li can-
cellava, in modo lieve, aggiungendo un suo tocco
a quell’opera d’arte. Avrebbe voluto lasciarli,
come se fossero un ornamento, ma poi sarebbe
arrivata l’orda dei bagnanti che avrebbe calpestato
tutto, senza neppure porsi il problema. E allora
tirava il rastrello, cancellando quei segni che, la
mattina dopo, sarebbero riapparsi in forme
sempre diverse e meravigliose. Ogni mattina, li
andava a cercare e, quando li trovava, gli sem-
brava di cominciare bene la giornata perché la
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