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Nel 1882, sul catasto Napoleonico  (A)  risultavano censiti altri frantoi da olio nei
       vicoli centrali di Spotorno e così indicati:
          •   vico Balilla n. 2 “grande frantoio di olive con magazzino e sottotetto a piano terra,
              costruzione a due piani” proprietà Marchesi Serra;
          •   Via V. Emanuele II, civico n. 7 e 5 “magazzino e frantoio da olive, piano terreno”;
          •   Vico Ferruccio n. 1 “frantoio da olive a piano terra”,
          •   Via Cavour n. 12 “frantoio da olive al piano terra, fa parte di una grande casa”.

       Oltre a questi, vanno ricordati il mulino a vento in regione Serra demolito a metà del
       secolo scorso e quello in regione Coreallo, al confine con Tosse, di cui si conservano
       ancora i resti, detto  Lavadun.  Questo, già  di proprietà dei Marchesi Serra, come
       testimoniato dallo stemma ancora visibile sul muro esterno, era un mulino da grano
       che serviva tutta l'area di Coreallo e del Siaggia, ai tempi interamente coltivata.

                                                             Il frantoio per macinazione
                                                             di olive più noto a Spotorno
                                                             -   che   funzionò   fino   al
                                                             dopoguerra   -   era   quello
                                                             situato in via Cavour: esso
                                                             infatti, era l'unico ad avere
                                                             l'autorizzazione   per   poter
                                                             macinare  per   conto   terzi,
                                                             svolgendo   quindi   una
                                                             funzione pubblica.
                                                             Ricorda Maria Teresa Rossi:
                                                             “...il frantoio era  anche un
                                                             luogo di ritrovo per clienti e
                                                             amici   in   attesa   del   loro
                                                             turno, che, per l'occasione,
       si intrattenevano in  lunghe discussioni, e potevano godere del calore  emanato dalla
       stufa e dagli animali da soma, (probabilmente l'unico posto caldo di cui potevano
       disporre). Gli addetti al frantoio - interamente vestiti di bianco -     organizzavano le
       varie fasi della lavorazione in base alle richieste e alla quantità di olive conferite.
       Ogni cliente che si recava al frantoio doveva  portare anche una fascina di legna per
       mantenere la stufa sempre accesa, e l'acqua ben calda per la spremitura della
       sansa...”

       L'olio di qualità più pregiata era quello raccolto nella grande vasca dove, con  la ruota
       di pietra si effettuava una prima spremitura mediante schiacciamento delle olive,
       ottenendo   l'olio   di   prima   qualità   chiamato   “fiore”.  Si   procedeva   quindi   alla
       torchiatura della poltiglia che veniva sistemata nell'incavo del torchio e suddivisa a
       strati separati  dagli “spurtin” (dischi rotondi di fiscoli di cocco), alternati ogni 4 o 5
       da dischi d'acciaio, dall'azione del torchio, azionato da robuste stanghe, e irrorato con
       acqua ben calda, si ricavava l'olio di spremitura, un prezioso e antico condimento.
       Foto: la grossa macina del frantoio del Canin
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